Quand’è che un’organizzazione apprende?

Innanzitutto, un’organizzazione può apprendere soltanto se ad apprendere sono i singoli membri che la costituiscono. Ma ciò non è sufficiente.

Affinché si abbia apprendimento organizzativo è necessario, in primo luogo, che le organizzazioni fungano da ambienti che preservano la conoscenza. Tale conoscenza non può essere preservata solo nelle menti dei singoli membri, se non si vuole correre il rischio che vada persa quando gli individui abbandonano l’organizzazione.
In tal senso la conoscenza tacita degli individui dovrà essere trasformata in conoscenza esplicita della organizzazione.

La conoscenza tacita è quella conoscenza che si sedimenta all’interno della mente delle singole persone, è personale, specifica del contesto, e in quanto tale è difficilmente formalizzabile e comunicabile, può essere esperenziale o pratica (know how, prospettive, credenze, ecc..).
La conoscenza esplicita è oggettiva e razionale, nel senso che è “codificata”, ed è esprimibile attraverso un linguaggio sistematico e formale, ad esempio attraverso la scrittura.

Entrambe sono importanti per l’apprendimento organizzativo, perché senza conoscenza tacita non si può avere conoscenza esplicita, ma senza la seconda la prima non è utilizzabile dall’azienda.

In secondo luogo, le organizzazioni devono “agire” direttamente la conoscenza che hanno (se non vogliono che essa rimanga improduttiva), nel senso che dovranno incorporarla in strategie, routine e pratiche codificabili, che rappresentano il modo in cui l’organizzazione esegue compiti complessi.
Per esempio una raffineria di zucchero incorpora nelle sue pratiche soluzioni particolari a come far crescere, raccogliere e raffinare la canna da zucchero, o a come distribuire e immettere sul mercato lo zucchero raffinato. In tal senso ogni organizzazione rappresenta delle risposte a un insieme di domande o delle soluzioni a un insieme di problemi.
Tali conoscenze dei compiti organizzativi può essere variamente rappresentata nella forma di sistemi di credenze sottostanti l’azione, di prototipi, o di prescrizioni procedurali per l’azione, allo stesso modo di un programma del computer: in questo modo l’organizzazione disporrà di una sorta di “teoria all’azione”, ovvero un insieme di norme e principi operativi che le permettono di monitorarsi, e di stabilire se il corso di azioni intraprese è corretto oppure no.
Per far questo essa potrà:

  1. percepire, monitorare e ricercare aspetti significativi del proprio ambiente;
  2. collegare le informazioni così raccolte alle norme operative che guidano il proprio comportamento;
  3. individuare eventuali scostamenti significativi da queste norme;
  4. mettere in atto delle azioni correttive quando vengono rilevate delle deviazioni, per riportare il sistema “sulla retta via”.

In questo modo il sistema può operare in maniera intelligente ed autoregolativa. Questo modo di operare viene chiamato dalla cibernetica a “feedback negativo”: il meno porta al più e il più porta al meno, e gli errori (gli scostamenti dalle norme in atto) vengono automaticamente corretti.
Ad esempio, la raffineria di zucchero di prima potrà monitorare il proprio andamento in riferimento a determinati obiettivi, che riflettono i valori e le norme operative correnti, ad esempio, in termini di “quantità di canne da zucchero raccolte”, “tonnellate di zucchero raffinato nell’unità di tempo –es.l’anno-“, “numero di clienti distributori e fatturato medio per cliente”, ecc… Nel caso di uno scostamento tra un risultato e un obiettivo, essa ricercherà e metterà in atto dei correttivi che le permetteranno di riallinearsi ad esso.

Tuttavia le capacità di apprendimento così definite sono limitate, nel senso che il sistema può mantenere solo il corso di azione definito dalle norme e dagli standard operativi che lo guidano. Questo risulta adeguato sin tanto che le azioni previste da questi standard sono in grado di gestire e affrontare i cambiamenti ambientali. Ma quando questo non si verifica più, l’”intelligenza” del sistema diventa inadeguata dal momento che il feedback negativo tenderà a mantenere e a perpetuare un comportamento inadeguato. Questo ha portato i moderni cibernetici ad elaborare la distinzione tra i processi di apprendimento ed i processi di apprendimento dell’apprendimento. Sistemi cibernetici più complessi quali il cervello umano o alcuni computer avanzati sono in grado di “apprendere ad apprendere”. Tali sistemi sono spesso in grado di individuare e correggere eventuali errori contenuti nelle norme operative, influenzando quindi gli standard che guidano le loro singole azioni. È questa capacità di autocritica che distingue le attività dei sistemi che sono capaci di apprendere ad apprendere e di auto-organizzarsi da quelli che non lo sono. Questa possibilità è alla portata anche delle organizzazioni. La differenza essenziale tra questi due tipi di apprendimento viene spesso identificata introducendo la distinzione tra apprendimenti “a circuito singolo” (single loop learning) e apprendimenti “a doppio circuito” (double loop learning).

Un apprendimento a circuito singolo è un apprendimento strumentale che modifica le strategie d’azione o gli assunti ad esse sottostanti, lasciando invariati i valori e i principi operativi di una teoria dell’azione.
Un apprendimento a doppio circuito richiede che venga superato il gap tra la teoria e la realtà in modo che risulti possibile sottoporre ad analisi critica e a revisione i valori e le norme alla base dei modelli teorici e della teoria all’azione utilizzata.
Ad esempio, molte organizzazioni sono veramente abili nell’apprendimento a circuito singolo, avendo sviluppato la capacità di investigare l’ambiente, di individuare gli obiettivi e di monitorare il funzionamento generale del sistema rapportandolo a questi obiettivi. Questa capacità è spesso istituzionalizzata sotto la forma di sistemi informativi progettati per mantenere l’organizzazione “sui binari” (come la raffineria di prima).
Invece altre organizzazioni sono state capaci di istituzionalizzare processi che riconsiderano criticamente anche la normativa, le strategie e le procedure operative in relazione ad eventuali cambiamenti ambientali, ad esempio incoraggiando discussioni ed innovazioni continue. Solo queste organizzazioni sono veramente in grado di “apprendere ad apprendere”.

L’intero processo di apprendere ad apprendere dipende quindi dalla possibilità di rimanere aperti nei confronti dei cambiamenti ambientali e dalla capacità di valutare criticamente le norme operative. Innanzi tutto è necessario favorire e apprezzare un atteggiamento mentale aperto e riflessivo che accetti l’errore e l’incertezza come una caratteristica inevitabile per chi opera in ambienti complessi e instabili. Un secondo principio riguarda il fatto che è necessario favorire un approccio all’analisi e alla soluzione di problemi complessi che riconosca l’importanza di prendere in considerazione diversi punti di vista.
Sono molte le organizzazioni che non riescono in questo intento: falliscono in questo sopratutto le organizzazioni di tipo burocratico, dal momento che i principi organizzativi su cui si basano spesso ostacolano il processo di apprendimento.

In altri termini, l’apprendimento organizzativo si verifica quando gli individui all’interno di un’organizzazione sperimentano una situazione problematica e, nell’interesse dell’organizzazione, la indagano. Essi esperiscono la sorpresa della mancata corrispondenza tra i risultati attesi e i risultati effettivi dell’azione, reagendo con un processo di pensiero e di nuovi corsi d’azione che conducono a modificare l’immagine dell’organizzazione e a ristrutturare le attività così da allineare risultati e aspettative, modificando, in questo modo, la “teoria all’azione” in uso.

In che modo, nello specifico, può avvenire questo?
Abbiamo visto che le conoscenze tacite degli individui sono la “linfa vitale” dell’apprendimento, ma che esse devono essere esplicitate e codificate per divenire conoscenze esplicite utilizzabili della organizzazione.
Affinché si realizzi apprendimento organizzativo, tra le conoscenze tacite degli individui e le conoscenze esplicite dell’organizzazione dovranno realizzarsi delle interazioni sinergiche, che facciano sviluppare entrambe, secondo un meccanismo di creazione di conoscenza “a spirale”, che passa attraverso le seguenti quattro fasi:

  • Socializzazione: si passa da una conoscenza tacita a un’altra conoscenza tacita, attraverso la condivisione di esperienze. Ad esempio, attraverso l’osservazione, l’imitazione e la pratica gli individui apprendono l’uno dall’altro in un modo tacito (non formalizzato). Esempi ne sono il “training on the job” (apprendistato), o il brainstorming (per generare nuove idee innovative);
  • Esteriorizzazione: la conoscenza tacita diviene esplicita assumendo forma di concetti espliciti, ipotesi, modelli, principi, metafore o analogie. Questo tipo di conoscenza può essere innescata da dialoghi e riflessioni collettive (come per la creazione di nuovi concetti di prodotto), e diviene un patrimonio dell’azienda, in quanto viene codificata;
  • Combinazione: si passa da una conoscenza esplicita a una nuova conoscenza esplicita, attraverso un processo di sistematizzazione di concetti in un nuovo sistema di conoscenze più ampio. Ad esempio, riconfigurando, combinando o integrando tra di loro le informazioni esistenti (anche attraverso l’utilizzo di database elettronici), si può arrivare a formulare una nuova “teoria all’azione”;
  • Interiorizzazione: la conoscenza esplicita diventa tacita, quando, attraverso l’azione individuale, viene internalizzata dall’individuo in forma di modelli mentali condivisi o di know-how tecnico, o attraverso la messa in atto di routine organizzative.

La nuova conoscenza tacita, a sua volta, verrà nuovamente socializzata, per generare nuova conoscenza tacita, rimettendo in atto la spirale. In una organizzazione fortemente burocratica, che si limita a apprendimenti “a circuito singolo”, è la prima fase della socializzazione che viene a mancare, impedendo la creazione di nuova conoscenza organizzativa.
In base a questo modello, sono state individuate alcune condizioni necessarie alla messa in atto di queste quattro fasi, quindi alla creazione di conoscenza organizzativa. Le elenchiamo qui di seguito:

  • Intenzionalità: ci deve essere l’intenzione di sviluppare la capacità organizzativa di acquisire, creare e accumulare conoscenza, che dovrà tradursi in delle strategie e in delle strutture adeguate allo scopo;
  • Autonomia: i membri di un’organizzazione e i gruppi di lavoro dovrebbero poter agire, nella misura consentita dalle circostanze, in modo autonomo, stabilendo da sé i limiti dei propri compiti, con l’intento di perseguire l’obiettivo finale dell’organizzazione. In tal modo aumentano la probabilità che si generino possibilità e opportunità inattese;
  • Fluttuazione e caos creativo: essa può intendersi come un ordine privo di ricorsività, cioè un ordine che segue uno schema difficilmente prevedibile in fase iniziale, che ricerca l’ambiguità, e che si adatta alle mutevoli circostanze dell’ambiente esterno. La fluttuazione “rompe” le routine, le abitudini, e i quadri cognitivi di riferimento, costringendo gli attori organizzativi a mettere in dubbio la validità dei propri atteggiamenti di fondo (quindi stimola la messa in atto di apprendimenti “a doppio circuito”);
  • Ridondanza: i concetti elaborati da un individuo dovranno essere condivisi con gli altri individui, anche da chi non ne ha immediato bisogno. Ciò promuove la condivisione di conoscenza tacita, e accelera il processo di creazione della conoscenza;
  • Varietà minima richiesta: tutti i membri di un’organizzazione dovranno avere l’accesso più rapido possibile alla più ampia gamma di informazioni possibile, affinché possano rispondere al mutare delle circostanze in modo adeguato, ovvero con la più ampia varietà possibile di risposte.

Il sistema di apprendimento di un’organizzazione dovrà comprendere delle strutture (canali informativi, pc, ambiente spaziale, procedure, incentivi, ecc..) e un mondo comportamentale (insieme di significati e sentimenti che condizionano le relazioni tra le persone) che siano coerenti con gli obiettivi di apprendimento organizzativo che si è posta. Ad esempio favorendo modalità di interazione tra gli individui caratterizzate da: amicizia versus ostilità, apertura versus chiusura, flessibilità versus rigidità, cooperazione versus competitività, produttività versus difensività, ecc…

BIBLIOGRAFIA
Argyrys C. e Schon D.A. Apprendimento organizzativo, Guerini e associati, 1998
Nonaka I. e Takeuchi H. The Knowledge creating company, Guerini e associati, 1997
Morgan G. Images – Le metafore dell’organizzazione – FrancoAngeli, 1995