Il Learning Coaching per gli adulti è un servizio di facilitazione all’apprendimento

Aiuta ad esprimere a pieno il proprio potenziale di apprendimento, stimolando le persone ad apprendere lungo tutto l’arco della propria vita.

Il Learning Coach è un consulente che supporta i discenti (in rapporti one to one oppure di gruppo) non solo attraverso l’elaborazione di obiettivi e di strategie, ma anche attraverso la riflessione su ciò che li motiva ad imparare e l’auto gestione delle propri percorsi di apprendimento. E’ proprio questo tipo di auto-riflessione che permette di andare oltre il semplice apprendimento di tecniche, e che consente di “imparare a imparare“. Ogni persona infatti apprende in un modo unico, ha un diverso stile di apprendimento, e si confronta con esigenze e difficoltà diverse.

Il Learning Coaching risulta particolarmente utile per gli studenti, per le persone impegnate in percorsi di apprendimento o di riqualificazione professionale, oppure per le persone che vogliono valorizzare le proprie competenze per trovare una collocazione più soddisfacente nel mondo del lavoro, o infine per persone che vogliono riuscire a fare con maggiore efficacia e soddisfazione quello che già fanno.

Il Learning Coach aiuta le persone a stabilire degli obiettivi formativi motivanti e rispondenti alle proprie esigenze, a valorizzare i propri talenti, aiuta altresì a incrementare la propria consapevolezza sul proprio modo di apprendere, a svincolarsi da automatismi improduttivi, come abitudini, convinzioni limitanti o autosabotaggi che frenano il proprio potenziale. Le capacità di apprendimento, infatti, sono solo o in minima parte delle abilità innate e normalmente si esprimono in ciascuno di noi al di sotto delle nostre reali potenzialità. Questo perché restiamo per lo più ancorati ad alcune modalità disfunzionali (i “blocchi” del potenziale di apprendimento, appunto). Le potenzialità possono, tuttavia, riemergere quando si ricevono degli stimoli appropriati. Il Learning Coach è esperto nell’offrire gli stimoli appropriati per ri-attivarle, agendo sulle “leve” del potenziale di apprendimento.

Possiamo descrivere questi blocchi e queste leve riferendoci al modello dei livelli neurologici di Dilts. I livelli neurologici sono diverse dimensioni della persona umana che entrano in gioco in qualsiasi prestazione, sono quindi un’ottima mappa per spiegare ciò che può favorire o frenare i risultati che si ottengono in un dato ambito.

L’AMBIENTE (ultimo gradino della piramide) è il primo livello, il più esterno

Identifica il contesto spazio-temporale, il “dove” e il “quando” ci troviamo ad agire.

Nell’ambiente noi agiamo attraverso i nostri COMPORTAMENTI

Questo è il secondo livello: ciò che noi sperimentiamo al livello dell’ambiente, è il riflesso e il risultato dei comportamenti che mettiamo in atto. Cambiando il nostro comportamento otteniamo risposte diverse dall’ambiente. Spesso non riusciamo ad apprendere come potremmo perchè tendiamo a ripetere sempre gli stessi comportamenti, ciò accade quando siamo ancorati a delle abitudini. Infatti qualsiasi nuovo apprendimento richiede il confronto aperto con una nuova esperienza. Le abitudini ci portano a inserire un “pilota automatico” e a ripercorrere sempre le stesse strade. Per superare questo freno del potenziale di apprendimento, occorre ampliare la propria facoltà di scelta, inserendo uno spazio riflessivo, che ci aiuti a superare modelli di comportamento abitudinari e reattivi: la pro-attività consiste proprio nell’inserire uno spazio di auto-consapevolezza e di scelta tra uno stimolo esterno e la propria risposta a quello stimolo.

Il repertorio di comportamenti che possiamo mettere in atto è definito da un altro livello, più profondo (e quindi più “alto”): quello delle CAPACITÀ.

Quando apprendiamo nuove capacità si amplia il repertorio di comportamenti che possiamo mettere in campo. Se il comportamento riguarda il “cosa” fare, le capacità riguardano il “come” farlo. Se vogliamo migliorare in una prestazione dovremo chiederci se ci sia qualche capacità che dobbiamo acquisire o potenziare: in tal caso occorrerà definire delle aree di apprendimento e dei gap da colmare per quelle capacità. A questo livello si lavora anche sull’auto-consapevolezza: nel prendere coscienza del proprio modo di apprendere, delle proprie capacità e dei propri talenti; e sul riconoscere e superare eventuali auto-sabotaggi: si tratta di quei casi in cui volontariamente riduciamo l’impegno che investiamo in un risultato, per poter proteggere la nostra auto-stima nel caso di un fallimento: se ci impegnassimo al 100% non avremmo alibi, allora ci impegniamo di meno per proteggere la nostra auto-stima nel caso di un esito negativo. Gli auto-sabotaggi hanno una funzione positiva, perché proteggono l’autostima, quindi non vanno semplicemente eliminati; ma si possono sostituire con strategie più funzionali e meno limitanti. Attraverso il Learning coaching le persone vengono aiutate a riflettere sulla propria esperienza di apprendimento al fine di migliorarla. In che modo? Esplicitando i processi e le strategie che seguono inconsapevolmente e imparando a gestirli (i fattori “meta”cognitivi), riconoscendo i propri punti di forza, e anche ciò che le limita nei propri obiettivi di apprendimento; divenendo consapevoli del proprio stile di apprendimento, individuando nuove strategie di apprendimento più funzionali; imparando dai propri successi del passato. In altri termini: acquisendo la capacità di osservare e di gestire autonomamente il proprio processo di apprendimento. E’ dimostrato che un miglioramento delle proprie competenze metacognitive si accompagna sempre a un miglioramento delle proprie capacità di apprendimento. Le competenze metacognitive: riguardano la consapevolezza che una persona ha del proprio funzionamento cognitivo, e la capacità che ha di gestirlo. Un approccio metacognitivo: privilegia, accanto all’esperienza, la riflessione sull’esperienza. Quindi è fondamentale promuovere una riflessione sul processo che ha portato a un risultato, e non tanto sul risultato.

Esiste un livello ancora più profondo di quello delle capacità, che influenza tutti i livelli considerati finora: quello delle CONVINZIONI e dei VALORI.

Convinzioni e valori sono due aspetti distinti, ma, per l’influenza che esercitano, si trovano allo stesso livello.

Le convinzioni identificano ciò che crediamo sia vero, e hanno un impatto enorme sulla nostra vita, e sui risultati che otteniamo. Questo è ormai dimostrato anche dalla scienza: l’effetto placebo, ad esempio, sul quale esiste una vasta letteratura, dimostra che le convinzioni e idee potenzianti sono in grado di liberare capacità e competenze inconsce che prima non venivano utilizzate. D’altro canto, quando affermiamo: “non si può fare”, ci comportiamo in modo coerente con le nostre convinzioni. Inutile provarci se tanto non è possibile. Quando abbiamo convinzioni limitanti su noi stessi, in qualche ambito, ci comportiamo “come se” non avessimo le possibilità di riuscirci, e di fatto non ci diamo il permesso di utilizzare le nostre capacità. Per questo motivo le convinzioni sono un livello più profondo (più “alto”) delle capacità.

Secondo l’ontologia del linguaggio le convinzioni non sono mai né vere, né false, per il semplice fatto che non hanno a che fare con la realtà, ma con il nostro modo di vederla; sono il frutto di nostre interpretazioni. Quando acquisiamo una nuova convinzione agiamo come se quella convinzione fosse vera per noi; in tal modo spesso finiamo per creare la realtà corrispondente a quella convinzione, che così diventa una profezia che si auto-avvera. “Sia se credi di riuscire, sia se credi di fallire, avrai comunque ragione” affermava J. Ford. La buona notizia è che le convinzioni cambiano in modo naturale, e che, rielaborando e mettendo in discussione alcune nostre interpretazioni, possiamo favorire e accelerare questo cambiamento. Di fondamentale importanza è aprirsi al dubbio. La capacità di saperci ascoltare, cioè la capacità di connetterci maggiormente con noi stessi, di ascoltare le nostre sensazioni e bisogni, i nostri valori, di utilizzare la nostra immaginazione e il nostro intuito, può aiutarci ad ampliare i nostri confini e i nostri orizzonti, ed è quindi una delle “leve” per esprimere le proprie potenzialità. Questa capacità può essere “allenata” con degli esercizi specifici, e con varie tecniche creative.

I VALORI – che si trovano allo stesso livello delle convinzioni – identificano ciò che è realmente importante per ognuno di noi.

Ognuno di noi ha una propria matrice valoriale, cioè un nucleo di valori fondamentali: se li onoriamo la nostra vita assume significato e ci appare degna di essere vissuta; se li ignoriamo ci appare piatta e priva di uno scopo. E’ di vitale importanza, in un percorso di learning coaching, aiutare una persona a prendere coscienza dei propri valori. Ed è quindi importante, quando ci si pone un obiettivo di apprendimento, accertarsi a quali valori sia collegato, domandandosi, ad esempio: “Come cambierà la mia vita dopo che lo avrò raggiunto?” “perché” è così importante per me raggiungerlo? Si potrebbe auspicare che un nostro obiettivo sia sempre espressione di qualche nostro valore personale, ma purtroppo non sempre è così, perché siamo soggetti a influenze esterne, stereotipi e aspettative di altre persone per noi significative.

L’ultimo livello è rappresentato dalla IDENTITÀ: ciò che siamo.

L’obiettivo che ci siamo posti, il risultato che vogliamo realizzare, dovrà essere allineato con il nostro senso di identità. Se non rispetta “chi siamo” nella nostra natura profonda, oppure se non ci sentiamo allineati, nella nostra identità, con quell’obiettivo, sarà molto difficile raggiungerlo.

Ad esempio, se una persona si è posta l’obiettivo di smettere di fumare, si comporta in modo congruente a questo obiettivo, ha rafforzato alcune capacità di self-control e di distanziamento dal bisogno, è convinta di poterci riuscire, ma continua a “sentirsi” un fumatore, è probabile che i risultati che otterrà non saranno duraturi. Occorrerà quindi lavorare, con l’immaginazione, sul suo senso di identità, e su alcune convinzioni che lo definiscono.

Secondo John Whitmore, un coach di fama mondiale, la qualità e l’efficacia di una performance è il risultato del potenziale meno le Interferenze interne.

In sintesi: Efficacia performance = Potenziale – Interferenze interne

Tra le interferenze interne quella maggiore è costituita dalla paura, più nello specifico dall’ansia di prestazione. Quindi questo è uno dei maggiori ostacoli del potenziale di apprendimento.

La paura, e il senso del dovere, lungi dall’essere fattori motivanti nell’apprendimento (come talvolta erroneamente si crede), sono fattori frenanti. Il desiderio, la curiosità sono fattori motivanti di gran lunga più potenti ed efficaci, per favorire una espressione delle potenzialità individuali. La paura di sbagliare porta a porsi obiettivi di prestazione, incentrati sul “fare qualcosa perfettamente”, per evitare la disaprovazione e il giudizio negativo; il desiderio di mettersi alla prova e di sperimentare porta a porsi, invece, in prevalenza obiettivi di crescita e di apprendimento, motivati dal desiderio di imparare, migliorare, scoprire qualcosa di nuovo”, che fanno sviluppare a pieno il potenziale di apprendimento. Quindi è indispensabile incentivare questo tipo di obiettivi: per farlo è necessario considerare gli errori non come qualcosa da evitare, ma come il carburante dell’apprendimento. Ed è importante re-incorniciare le proprie eaperienze di insuccesso come “feedback” sulla prestazione e non come “fallimento”. La “scuola dell’obbligo” sembra non tenerne conto, essendo focalizzata più sul senso del dovere, e poco o per nulla sul desiderio. Una scuola del desiderio, che alimenti il desiderio naturale e la curiosità dei discenti, e ne assecondi le inclinazioni naturali sarebbe una rivoluzione culturale in grado di portarci molto lontano.
Del resto, da Socrate a Dewey, filosofi a pedagogisti ci hanno dimostrato che apprendere veramente è sempre scoprire qualcosa da noi stessi. E anche secondo autorevoli studiosi contemporanei, tra cui Bruner, si può apprendere veramente solo attraverso il gioco.
Secondo Visalberghi: “Nulla di valido si apprende per condizionamento esterno, per coazione o imposizione(…). L’uomo esplora il suo mondo per il gusto di farlo, non per il calcolo dei vantaggi più o meno prossimi che potrà trarne. Questa è la sua “scintilla divina”.
Un percorso di coaching che agisca su tutti i livelli che abbiamo considerato, aiuta una persona a fare un lavoro “sulle radici” del proprio potenziale di apprendimento, aiutandola a “sbloccare” le proprie potenzialità, sempre nel rispetto di quelle che sono i suoi valori, aspettative e bisogni.
Un training che si limiti solo ad insegnare nuove strategie o tecniche di apprendimento, fa invece un lavoro sulle “foglie”. Un percorso di learning coaching è quindi un vero e proprio percorso di self-empowerment personale.
Il learning coaching si differenzia da un training tradizionale, che si basa prevalentemente sul dare istruzioni e sul trasmettere informazioni. Per suscitare interrogativi, per attivare nuovi processi di pensiero, per far emergere nuove conspevolezze, per stimolare una maggior connessione con se stessi, è fondamentale fare domande.

Secondo alcuni studi, l’80% della comunicazione di un trainer/insegnante tradizionale si basa sul dare istruzioni o informazioni (telling), e solo il 20% sul domandare (asking), e si tratta in genere di domande che servono all’insegnante, per valutare l’esito del proprio isegnare. Un approccio di learning coaching capovolge questa proporzione: il 70%/80% del tempo comunicativo è utilizzato per “fare domande”, solo il 20%/30% per dare istruzioni o trasmettere tecniche.
Le domande accrescono la auto-consapevolezza e la responsabilità, mentre le istruzioni le diminuiscono. Le domande di coaching sono “neutre”: non devono “pilotare” una persona verso soluzioni pre-confezionate, ma devono creare uno spazio per la scoperta personale, e alimentare un processo di auto-osservazione. Le domande di coaching più efficaci sono quelle delle quali il Learning Coach non sa la risposta
Le domande di un Learning Coach aiutano una persona a:

  • Far emergere elementi di consapevolezza, aiutando a rendere esplicita la propria conoscenza tacita (ciò che sà ma che non sà di sapere);
  • Spostare l’attenzione del Coachee verso “cornici” più funzionali, per trarre nuovi “significati” dalle proprie esperienze;
  • Aiutare il Coachee ad assumere posizioni “meta” per osservare la realtà e se stesso, ascoltare la propria interiorità e creatività;
  • Stimolare processi di pensiero e di riflessione;
  • Stimolare a tramutare gli apprendimenti in azioni concrete;
  • Proiettare il Coachee verso un mondo di possibilità, stimolandolo a immaginare e a creare nuove realtà possibili (queste vengono definite “domande potenzianti”).

Nel Learning Coaching le persone vengono aiutate a stabilire un piano d’azione concreto, e a superare le barriere per realizzarlo, al fine di realizzare i propri obiettivi formativi.
Il risultato naturale di un percorso di learning coaching è quello di permettere alle persone di realizzare – efficacemente e con successo – attività formative in auto-apprendimento, esprimendo le proprie potenzialità.